Chi sono

La mia storia

La Nutrizionista Dietro la Nutridinamica

Sono una biologa nutrizionista e una counselor cresciuta a pane e medicina, con un destino apparentemente già scritto: diventare una dottoressa.
L’interesse per la salute e il corpo, infatti, hanno fatto parte di me fin dalla più tenera età. Ricordo ancora gli scambi di opinione tra mio padre, mio nonno e mio zio sulle patologie e le terapie da adottare per quel loro paziente comune, con i pranzi che si trasformavano in veri e propri congressi medici. Ben presto però ho capito che seguire le loro orme sarebbe stato troppo facile e, grazie ad una telefonata illuminante con il prof. Cannella, sono arrivata a capire quale sarebbe stata la mia strada: sarei diventata una nutrizionista, ma studiando la scienza della vita, cioè Biologia.

Federica Piccolino Biologo Nutrizionista

La mia storia

Conosciamoci meglio!

Qualcosa dentro di me, infatti, aveva già compreso che non è possibile prendersi cura di una persona osservando solo la punta dell’iceberg (il sintomo), ma è importante conoscere tutto il mondo sommerso fatto di una storia, una genetica, un ambiente in cui l’essere umano nasce, cresce e a volte si ammala. Il rapporto con il cibo infondo ha radici troppo profonde per essere trattato solo con qualche calcolo e un misero pezzo di carta.

Chi non ha mai utilizzato il cibo come valvola di sfogo in momenti bui o, come succedeva a me da piccola, come braccio di ferro per essere ascoltati?

Nonostante una faticosa triennale in cui ho combattuto contro un perfezionismo che mi portava spesso a rinunciare a presentarmi agli esami e alla sensazione di non vedere mai la luce infondo al tunnel, ho continuato a seguire il mio sogno e sono riuscita finalmente ad approdare al corso di Scienze della Nutrizione umana. Finalmente avrei potuto dedicarmi a quello che volevo davvero studiare, materie stupende come Endocrinologia, Gastroenterologia, Neuropsichiatria. L’essere umano cominciava a prendere corpo di fronte a me, con le sue problematiche a cui stavo trovando pian piano delle soluzioni. Uscita dall’università ero, come molti neolaureati, sicura di sapere tutto e che tutto sommato farti dimagrire non sarebbe stato poi così difficile. Infondo basta mangiare meno e muoversi di più, semplice no?!

E’ stato però l’incontro con Beatrice a farmi presto capire che la realtà umana non può essere studiata solo sui libri e che stilare un piano alimentare è altro dal fare qualche semplice calcolo di calorie.

Nel rapporto con i miei pazienti dovevo esserci, a 360 gradi. Conoscendola ho compreso che non potevo accontentarmi delle teorie di un sapere scientifico e che dovevo andare ancora più a fondo, nella parte sommersa dell’iceberg, prima di tutto di me stessa.

E ho deciso di iniziare questo viaggio nella vera scoperta dell’essere umano che mi avrebbe portato ad essere la nutrizionista che sono oggi.

Beatrice è una giovane donna di 30 anni, bella, apparentemente solare, con degli occhi estremamente espressivi che è impossibile dimenticare anche dopo 6 anni dal nostro primo incontro. Era un po’ in sovrappeso e la motivazione con cui è arrivata da me era di perdere qualche chilo e di liberarsi dalla fastidiosissima cellulite per tornare a piacersi, a vivere finalmente bene nel proprio corpo. Niente di più semplice, ho pensato.

Ben presto però ho compreso che dietro quei bellissimi occhi c’era qualcos’altro, qualcosa che faceva fatica ad uscire. C’erano lacrime non versate, parole non dette e cibo ingurgitato di notte, quando nessuno poteva vederla. Beatrice usava il cibo come sedativo delle proprie emozioni, anestetizzava i suoi sentimenti con pacchi interi di biscotti. Il cibo era per lei come il ciuccio dei bambini, come il tappo del vaso di Pandora: togliendolo sarebbe uscita tutta la rabbia dettata da rapporti deludenti, dalla difficoltà di non essere stata in grado tante volte di dire no e dal non essere mai riuscita a seguire veramente una dieta. Viveva in una continua alternanza tra l’essere “brava”, spesso fin troppo rigida nel seguire uno schema alimentare, a momenti di totale perdita di controllo, con l’impossibilità di privarsi di cibi irresistibili. Solo la corsa le dava tranquillità, era una dimensione in cui poteva finalmente spegnere il cervello ed essere veramente sé stessa. Grazie alla corsa, spesso però utilizzata per compensare le abbuffate, riusciva “a non andare oltre, a non superare il limite” ed ecco perché era “solo” in sovrappeso.

Mentre Beatrice mi raccontava di sé, sentivo su di me il peso di un vissuto così importante e al tempo stesso la responsabilità di non essere l’ennesimo rapporto deludente. Quando dovevo incontrarla non potevo fissare altre visite perché tornavo a casa sfinita. Ma come potevo davvero aiutarla?

Un approccio equilibrato

Crescita Personale Attraverso la Nutrizione

Avevo bisogno di risposte che l’università non era riuscita a darmi. Dovevo assolutamente studiare ancora, approfondire sui libri e lì ho iniziato a cercare le risposte di cui avevo bisogno, convinta che avrei avuto poi tutto chiaro. L’approccio più diffuso in ambito nutrizionale era la terapia cognitivo-comportamentale, secondo cui la fame nervosa, le abbuffate derivano da una mancanza di controllo delle emozioni, da cosiddetti schemi di ragionamento disfunzionali. Ma con Beatrice sarebbe davvero bastato prendere nota di quello che mangiava, cercare di rivolgere l’attenzione ad altro rispetto al cibo, magari chiudere a chiave la cucina per anestetizzare le emozioni ed evitare le abbuffate?  Proviamoci, mi sono detta. Le ho fatto così tenere un diario alimentare ed emozionale dove annotare tutto quello che mangiava e che sentiva, per poi rivederlo insieme ad ogni incontro, a cercare “tattiche” comportamentali come ad esempio impiegare il tempo in qualcosa che la distraesse, perfino attraverso la meditazione. Ma sentivo che non le stavo davvero rispondendo, che nel rapporto c’ero solo parzialmente perché si trattava solo di soluzioni pratiche, e che anzi, forse le stavo confermando proprio quel bisogno di controllo che la portava poi a rifugiarsi nel cibo. L’eccessivo controllo era proprio quello da cui, per tanti e tanti anni, aveva cercato faticosamente di scappare, per tornare finalmente a sentirsi libera, a poter esprimere davvero sé stessa. Rischiava di innescarsi un pericoloso circolo vizioso insomma.

Nel frattempo ero approdata in un nuovo studio, dove avere finalmente uno spazio tutto mio, dove poter crescere ed essere davvero la nutrizionista che sentivo di voler essere. Uno studio associato di psicologi e psicoterapeuti e una scuola di Counseling in cui l’essere umano veniva finalmente visto come essere integrato: corpo, mente e mondo affettivo. Un essere umano che nasce sano e che può perdersi e ammalarsi quando questo fine equilibrio si rompe. Un essere umano che è sempre alla ricerca di rapporti corrispondenti, ma che a causa di rapporti deludenti può smettere di credere nelle proprie possibilità. Un essere umano che però può tornare ad essere davvero sé stesso se incontra sulla sua strada un rapporto vero, reale che sia in grado di rispondere tanto ai bisogni materiali (in questo caso il cibo) quanto alle esigenze affettive che si esprimono attraverso di esso. E scoprii che anche io, come nutrizionista, potevo essere quel rapporto.

Erano lì tutte le risposte che cercavo da tempo e che mi potevano permettere di rispondere davvero a Beatrice, di esserci davvero nel rapporto con lei e con gli altri pazienti. In questo lungo (e spesso faticoso) percorso ho compreso che il cibo rappresenta molto di più di un semplice bisogno corporeo, di un istinto, di un sostentamento. Attraverso il cibo cerchiamo in realtà corrispondenza affettiva, quella corrispondenza vissuta da ognuno di noi nel ventre materno a contatto con il liquido amniotico che è corrispondenza totale perché in grado di rispondere ai nostri bisogni corporei e alle esigenze di contatto umano.

Un approccio equilibrato alla nutrizione che tiene conto degli aspetti emotivi e psicologici è essenziale, poiché la relazione tra cibo ed emozioni gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di obiettivi di salute duraturi. La consapevolezza e la gestione delle emozioni legate all’alimentazione sono cruciali per promuovere un benessere complessivo.

In cerca di risposte

Un nuovo inizio

Avevo bisogno di risposte che l’università non era riuscita a darmi. Dovevo assolutamente studiare ancora, approfondire sui libri e lì ho iniziato a cercare le risposte di cui avevo bisogno, convinta che avrei avuto poi tutto chiaro. L’approccio più diffuso in ambito nutrizionale era la terapia cognitivo-comportamentale, secondo cui la fame nervosa, le abbuffate derivano da una mancanza di controllo delle emozioni, da cosiddetti schemi di ragionamento disfunzionali. Ma con Beatrice sarebbe davvero bastato prendere nota di quello che mangiava, cercare di rivolgere l’attenzione ad altro rispetto al cibo, magari chiudere a chiave la cucina per anestetizzare le emozioni ed evitare le abbuffate?  Proviamoci, mi sono detta. Le ho fatto così tenere un diario alimentare ed emozionale dove annotare tutto quello che mangiava e che sentiva, per poi rivederlo insieme ad ogni incontro, a cercare “tattiche” comportamentali come ad esempio impiegare il tempo in qualcosa che la distraesse, perfino attraverso la meditazione. Ma sentivo che non le stavo davvero rispondendo, che nel rapporto c’ero solo parzialmente perché si trattava solo di soluzioni pratiche, e che anzi, forse le stavo confermando proprio quel bisogno di controllo che la portava poi a rifugiarsi nel cibo. L’eccessivo controllo era proprio quello da cui, per tanti e tanti anni, aveva cercato faticosamente di scappare, per tornare finalmente a sentirsi libera, a poter esprimere davvero sé stessa. Rischiava di innescarsi un pericoloso circolo vizioso insomma.

Nel frattempo ero approdata in un nuovo studio, dove avere finalmente uno spazio tutto mio, dove poter crescere ed essere davvero la nutrizionista che sentivo di voler essere. Uno studio associato di psicologi e psicoterapeuti e una scuola di Counseling in cui l’essere umano veniva finalmente visto come essere integrato: corpo, mente e mondo affettivo. Un essere umano che nasce sano e che può perdersi e ammalarsi quando questo fine equilibrio si rompe. Un essere umano che è sempre alla ricerca di rapporti corrispondenti, ma che a causa di rapporti deludenti può smettere di credere nelle proprie possibilità. Un essere umano che però può tornare ad essere davvero sé stesso se incontra sulla sua strada un rapporto vero, reale che sia in grado di rispondere tanto ai bisogni materiali (in questo caso il cibo) quanto alle esigenze affettive che si esprimono attraverso di esso. E scoprii che anche io, come nutrizionista, potevo essere quel rapporto.

Erano lì tutte le risposte che cercavo da tempo e che mi potevano permettere di rispondere davvero a Beatrice, di esserci davvero nel rapporto con lei e con gli altri pazienti. In questo lungo (e spesso faticoso) percorso ho compreso che il cibo rappresenta molto di più di un semplice bisogno corporeo, di un istinto, di un sostentamento. Attraverso il cibo cerchiamo in realtà corrispondenza affettiva, quella corrispondenza vissuta da ognuno di noi nel ventre materno a contatto con il liquido amniotico che è corrispondenza totale perché in grado di rispondere ai nostri bisogni corporei e alle esigenze di contatto umano.

 

Gustare il cambiamento

Riparti da te

Parlando di più con Beatrice, ecco che riaffioravano ricordi. Mi raccontava infatti di quanto fosse bello, da piccola, tornare a casa e trovare i biscotti preparati per lei dalla nonna. Forse era per quello che la sera sentiva il bisogno di portare con sé a letto tutte quelle confezioni di biscotti… Oppure in quella giornata storta in cui non si era sentita vista e ascoltata dal capo, aveva sentito il bisogno di agguantare tutto quello che trovava in frigorifero per non urlargli in faccia tutta la sua rabbia… Era chiaro che la risposta a tutto questo non poteva essere né una dieta né tantomeno un diario alimentare dove il mettere nero su bianco le sue emozioni non avrebbe fatto altro che bloccarle per la paura di viverle. Il percorso di Beatrice non poteva essere la passiva attuazione di regole scritte imposte da me, ma dovevamo riscoprire insieme la bellezza dei rapporti, la sua bellezza e la bellezza del cibo che può essere assaporato, gustato e non solo utilizzato per riempire un vuoto. Ecco che quei biscotti, così evocativi di un rapporto per lei importante, acquisivano un nuovo significato e diventavano davvero insostituibili. Biscotti che potevano essere finalmente assaporati e non ingurgitati per cercare di riempire un vuoto, legati ad un ricordo in cui lei era stata libera di essere davvero sé stessa.

Ho deciso di raccontarti questa storia perché in questi anni di lavoro mi sono trovata ad incontrare tantissime Beatrice, donne forti, realizzate nel lavoro, mogli, madri, ma che si trovano ad utilizzare come lei il cibo per riempire un vuoto, a combattere ogni giorno una battaglia tra il vedere tutto bianco o tutto nero, dall’essere “brava” oggi e “cattiva” domani, ad iniziare innumerevoli diete, a cercare soluzioni più o meno rapide o invasive.

Voglio essere sincera: il primo passo per il cambiamento, un vero cambiamento, è quello di voler ripartire da te, di prendere in mano la situazione e diventare parte attiva di una trasformazione che ti porterà a riscoprire tutte le sfumature di colori che la vita ci regala. Non sarà facile, ci saranno cadute, ci sarà la voglia di tornare indietro, di lasciar perdere, ma l’essere in due (e a volte in tre, quattro, grazie alla preziosa equipe di psicologi e medici con cui collaboro) a camminare insieme renderà questo percorso meno faticoso. Perché se è vero che nei rapporti a volte ci perdiamo e ci ammaliamo, è grazie ad un rapporto che possiamo ritrovarci.